L'invidia del blasone
di Massimo Bambara
La vicenda Tevez è tutt'altro che chiusa. Al di là delle dichiarazioni di facciata di Galliani e del silenzio attuale, forse emblematico, del City, resta viva la pista per l'argentino, soprattutto in considerazione del patto di ferro fra Galliani e Kia, procuratore dell'Apache.

Non trovo condivisibili pertanto tutti gli strepiti, le ignominie, i rivolgimenti di stomaco e di cervello, che sono andati in scena nella giornata di giovedì tra le fila del popolo milanista.

La differenza tra un grande dirigente ed un dirigente medio sta in questo: il primo non teme il dissenso, il secondo si.

Ricordate la Juve che non prese Stankovic per non andare contro la piazza, danneggiando tecnicamente una rosa che necessitava di un elemento come il serbo?

A Galliani del consenso popolare e della comprensione generale delle sue scelte poco interessa. E' sufficientemente navigato e scaltro per sopportare gli improperi e le critiche di gente che nemmeno sa come funziona una trattativa.

L'aspetto però sul quale volevo soffermarmi è di natura psicologica. Strettamente mentale, forse subdolo ed appartemente a quel mondo variegato, mutevole ed inesplorato che tendiamo a definire inconscio.

Credo che il City, in questi anni, abbia accumulato una sorta di "invidia del blasone" nei confronti del Milan e di Galliani.

Mi spiego meglio utilizzando degli esempi che possano rendere chiara ed esplicita tale mia convinzione.

Nell'estate del 2008 Ronaldinho è sul mercato. Lo vogliono il Milan ed il City. Gli inglesi però offrono molto di più. Sia come ingaggio che per il pagamento del cartellino al Barcellona.

Eppure Dinho sceglie il Milan.

Si presenta però, pochi mesi dopo, nell'inverno successivo, un'occasione ghiottissima per una piccola rivincita. Il City va a Milano per comprare Kakà. L'offerta è da capogiro, il Milan barcolla.

Si arriva al giorno tanto sospirato dell'incontro tra i vertici del City e l'entourage di Kakà. L'incontro però va male. Ricky non è convinto, li snobba. Resta al Milan, scegliendo poi qualche mese dopo di andare al Real, prendendo la metà di quello che gli offrivano gli inglesi.

Addirittura Kakà preferisce rimanere, in quel momento, in un Milan in difficoltà, piuttosto che virare verso lidi più a nord.

Un brutto colpo per i citizen, più sul piano dell'immagine che su quello tecnico, dato il rendimento poi avuto da Kakà nel Real.

Nell'estate 2010 una nuova puntata. Ibra è ai ferri corti con Guardiola e l'occasione è ghiotta. Al City in panchina c'è Mancini, vecchio tecnico dello svedese. Finisce però come nel caso di Ronaldinho.

Ibra sceglie il Milan, nonostante gli inglesi gli offrissero più soldi e fossero disposti a pagare molto più del Milan il costo del suo cartellino al Barca.

Tre a zero per il Milan.

Oggi che il Milan ha l'accordo con Tevez, i vertici del City, anche se non lo diranno mai, un pò di invidia la provano per quell'uomo che rappresenta il Milan e che col fascino del Diavolo alle spalle e con la sua abilità manageriale, è capace di convincere i migliori giocatori, anche offrendo loro emolumenti inferiori rispetto al normale.

E forse fino all'ultimo vogliono evitare di privarsi di Tevez alle condizioni chieste da Galliani.

E' l'invidia del blasone. Un aspetto psicologico, delicatamente celebrale ma tremendamente forte.

Non è la chiave di questa vicenda ma, probabilmente, è uno dei lucchetti. Forse uno dei più serrati
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