Radiografia di Allegri

di Massimo Bambara
Vorrei fare alcune premesse. La prima fondamentale è che Massimiliano Allegri non è il mio allenatore ideale. Visione del calcio diversa, nulla di personale. Però lo stimo. Puoi avere idee diverse dagli altri ed averne comunque una buona considerazione. Pur con una grossa riserva.

Le idee non devono portarci, al fine di sostenerle, nel dividere gli uomini in buoni e cattivi: chi la pensa come me è nel giusto e chi la vede diversamente è da esiliare.

Questa visione, molto fiabesca e forse infantile, non l'ho mai condivisa e l'ho sempre sentita lontana dal mio modo di essere.

Detto questo e precisato che non parlo nè pro nè contro questo allenatore, ma solo cercando di analizzare quello che è il suo apporto al Milan in questo, ormai quasi compiuto, biennio, vorrei concentrarmi su alcuni aspetti fondamentali.

Il primo, essenziale, sono i meriti indiscussi che ha avuto Allegri nell'inversione di un certo trend del Milan in campionato.

Negli ultimi anni di Ancelotti e nella parentesi di Leonardo, il Milan si è contraddistinto per una lontananza quasi cronica dal vertice della classifica, con improvvise rincorse nei momenti di massima forma della squadra.

Allegri, e questo è un suo merito, figlio di una mentalità nuova portata dal tecnico livornese, ha invertito la rotta.

Deposta in soffitta l'idea di calcio fantasioso e d'impatto, figlia di una certa routine e di una autoreferenzialità interna ormai leggermente parossistica, Allegri ha impostato il Milan su Ibra.

Ha scelto di giocare con un trequartista d'assalto e non più con un fine rifinitore di palloni e giocate vincenti, ha portato l'ordine del giorno dell'agenda di campo sul dato dei gol subiti, ha creato un collettivo forse non spettacolare ma molto solido.

Il rovescio della medaglia, ad un certo punto della stagione 2010-2011 è stato però quello di demineralizzare la creatività del centrocampo fino a giungere a schierare un quartetto composto da Gattuso, Van Bommel, Flamini e Boateng che per qualche settimana è stato più un inno alla lotta libera che al gioco puro e semplice.

Ma su quell'estremismo della stagione scorsa, da cui nacquero le due gare potenzialmente compromissive della stagione, cioè Bari e Palermo, Allegri ha saputo lavorare e migliorarsi.

Fuori Flamini, nel derby del 2 aprile, e dentro Seedorf, giocatore si stagionato, ma capace come pochi di gestire ed orientare i flussi di gioco della gara,

Quella mossa, sottovalutata e non capita, aprì lo spazio per la cavalcata vincente finale.

In questa stagione Allegri, forse memore di qualche estremismo difensivo della passata annata, sentendosi anche più padrone della squadra, ha scelto da subito un impianto di gioco simile nella veste, 4-3-1-2, ma diverso negli interpreti.

Di fatto Aquilani e Nocerino come interni di centrocampo, in luogo di Gattuso e Flamini (Seedorf dal 2 aprile), hanno aumentato la qualità complessiva del reparto e migliorato il fraseggio.

Aquilani ha portato in dote una quantità di assist ed una regia che Gattuso, pur immenso come incontrista, non aveva, mentre Nocerino ha portato in dote un quantitativo di gol che nè Flamini nè Seedorf avevano nei piedi, seppur per ragioni diverse.

Il francese ha un rapporto complicato col gol, mentre Clarence, pur essendo abituato a timbrare la stagione con 7-8 segnature, risulta più prolifico partendo da trequartista, meno partendo da mezz'ala.

Ad oggi trovo un tantino esagerate le critiche verso Allegri. Non fosse altro che per quegli 8-10 uomini, costantemente in infermeria, che stanno togliendo alla squadra giocatori chiave e risorse importanti.

Di certo però, c'è che il Mister potrebbe migliorare, e di molto, in quello che per adesso è uno dei suoi talloni d'Achille principali: la variabilità in corsa del modulo. Soprattutto in momenti di magra infatti, avere una veste tattica alternativa, magari doppia, una più accorta ed una più aggressiva, può rappresentare un valore aggiunto per la squadra.

Ad oggi questo, senza dubbio, è il limite principale del nostro allenatore. Limite sul quale però non mi sento di costruire una battaglia di principio. Gli allenatori crescono, evolvono, si migliorano, a volte si peggiorano. Credo vada dato loro sempre un pò di tempo, soprattutto nei periodi neri.

Ricordo il primo Ancelotti di Parma, teorico inflessibile del 4-4-2. Chi l'avrebbe detto che qualche anno dopo avrebbe vinto la Champions con una squadra di fini palleggiatori e col trequartista?

E chi avrebbe mai osato immaginare che sarebbe stato l'allenatore capace di valorizzare al meglio Kakà?

Se posso permettermi invece una considerazione critica strettamente personale, che considero più probante, io credo che Allegri a fine stagione dovrà rendere conto della sua scelta, a mio avviso troppo miope, di optare per Van Bommel in luogo di Pirlo davanti alla difesa, scelta chiave nel determinare l'addio del regista bresciano.

Sono del parere che il vero peccato grave di un allenatore non sia sbagliare modulo, sostituzioni o interpretazioni delle partite, bensì farsi sfuggire i fuoriclasse.

Ed Andrea Pirlo è, per l'appunto, un fuoriclasse. Uno di quelli che ha fatto doppiamente la differenza, cambiando il volto della Juventus e facendo sentire la sua mancanza a questo Milan che troppo spesso è costretto a fare gioco coi centrali.

E' questa, a mio modesto avviso, l'imputazione vera e considerevole che va fatta ad Allegri. E forse anche l'unica di fronte alla quale il livornese è totalmente senza difesa

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