Troppi dubbi sul mercato

di Guglielmo Mastroianni
La fine del mercato lascia molti, troppi interrogativi.

Lo abbiamo capito, il Milan ci ha provato fino in fondo a prendere Carlitos Tevez, che, dal canto suo, ha fatto l'impossibile per rendersi disponibile. Quello che non è chiaro è: com'è possibile essere stati così vicini per ben tre volte ad un giocatore, ad un top player, e non averlo preso?

Certo, sicuramente ci si sarà messo il City, cercando in tutti i modi di ostacolare un matrimonio già fatto; siamo altrettanto certi che Mancini non sia stato così disponibile a trattare con Galliani; e per carità, siamo ancora d'accordo sul fatto che il Milan sia stato l'unico club europeo di un certo livello a trattare un top-player. Ma detto e concesso tutto questo, non riusciamo a capire cosa sia realmente successo.

Innanzitutto, quello che non ha completamente convinto è stata la gestione mediatica della trattativa: quando una società che si chiama Milan arriva ad esporsi così apertamente, DEVE portare a casa l'obiettivo. Galliani ad Ipanema non ha irritato gli sceicchi, visto che non crediamo che gli stessi diano l'autorizzazione a trattare il giocatore, ma non a farsi fotografare a pranzo. Ma già lì doveva essere sicuro - come in effetti a noi era stato riferito - che il giocatore sarebbe alla fine venuto al Milan. Invece no, visto che la riunione in video conferenza aveva portato, in sostanza, ad un: "va bene, la vostra offerta può andare bene, ma ci riteniamo liberi di ascoltarne di migliori."

Galliani aveva blindato tutto, dal canto suo, attraverso un patto di ferro con Kia e col giocatore, che si erano impegnati a rifiutare ogni offerta. E così è stato, visto il no detto agli 11 milioni annui che il PSG aveva messo sul tavolo. Un patto d'onore, tra Galliani e Tevez: aspettaci perchè entro il 31 vieni a Milano. Casa presa, numero di maglia addirittura stabilito. Tutto fatto. Ma Galliani doveva mettere in conto una cosa: gli sceicchi, se volevano, potevano anche tenerselo Tevez. Era già tanto che non lo avessero ancora sepolto fino al collo in pieno deserto.

Dicevamo, la gestione mediatica della trattativa. Discutibile. Talmente discutibile da risultare indigesta. Fino alle famose ormai "quattro zeta e mezza" di meno di 48 ore fa, in cui non crediamo assolutamente che Galliani non abbia avuto alcun ruolo. Suma si è prestato ad un gioco pericoloso. Lo ha fatto da professionista qual è, ma inevitabilmente, adesso, bisognerà farsi carico delle conseguenze.

Si è fatta largo una convinzione, tra critica e tifosi: questo Milan, in questo momento, non ha soldi da spendere sul mercato. Rinunciare a Tevez per una penale di 12 mln, per quanto messa in maniera quasi a tradimento all'ultimo minuto, non è da grande squadra. Galliani aveva e ha il carisma e l'aura necessaria per ricominciare da capo una trattativa. E pazienza se Maxi Lopez doveva aspettare altri giorni in albergo. Del resto, il suo acquisto era stato definito già da qualche settimana. E se ne stava beato in una suite in compagnia di Wanda Nara. Insomma, c'era chi stava peggio.


Il mercato di gennaio ci lascia in eredità alcuni buoni tasselli, ma nulla di più. Per carità, nulla era richiesto o dovuto. Per vincere in Italia la rosa a disposizione era - ed è - ampiamente sufficiente.

Chi scrive magari capirà poco di calcio, ma è fermamente convinto che se il Milan avesse subito la metà delle disavventure in cui è incorso, a quest'ora avrebbe almeno 3/4 punti più della Juve. Ma serviva quel qualcosa che ti permettesse di affrontare i prossimi terribili mesi con più serenità. Invece, alla fine, è arrivato Mesbah, che può dimostrare qualcosa, ma non era certo un pezzo pregiato del mercato; Merkel, che si è già rotto, e per i prossimi due mesi sarà come se fosse rimasto a Genova; Maxi Lopez, che sicuramente darà grandi soddisfazioni, ma non è certo Tevez; Muntari, che Allegri ha avuto con Galeone a Udine, ma che rimane una grossissima incognita. Mesbah, Merkel, Muntari, Maxi Lopez. Chissà, se magari si fosse chiamato "Mevez" sarebbe anche arrivato

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