Hoover è stato una delle figure più complesse della storia d’America.
A capo dell’Fbi per circa 50 anni, servendo 8 presidenti, ha protetto il suo paese con ogni mezzo.
Spesso violando anche le regole per proteggere i suoi concittadini.
Un personaggio temibile, quasi terribile, dominante, grigio, immerso nei segreti, su cui costruì inarrivabili archivi e una intricata, fitta, manipolabile rete di ricatti.
La sua storia è quella degli Stati Uniti, ed è attraverso l’uomo che Eastwood ci racconta il paese.
Un'America sempre sotto attacco, che celebra falsi miti, che dimentica presto e dove l’immagine conta più dei risultati.
“J. Edgar” è cinema secondo Eastwood allo stato puro.
Rick Santorum pochi giorni fa, nel discorso di ringraziamento agli elettori dopo la vittoria ha parlato della storia della sua famiglia come di un classico esempio del sogno americano.
L'America è una nazione che ha il culto del domani, e che l'11 settembre ha tentato di stravolgere costringendola a guardare all'indietro, a voltarsi verso il passato.
Un'America che si era illusa di inaugurare un nuovo secolo di dominazione e ora arranca per non perdere posizioni, una crescente diffidenza, se non aperta ostilità, verso le istituzioni e la politica che le incarna.
È diventata più cinica, o almeno più scettica.
"Questo “J. Edgar” è un film cupo, livido.
È il film di un fallimento e di una sconfitta: non tanto quella del protagonista, già giudicato dalla Storia, ma piuttosto quella dell’America, del Paese e del mito in cui più o meno si era sempre identificato Clint Eastwood.
Un’America dura, violenta, ambigua, a volte anche sporca e maleodorante, ma sempre riscattata da un ideale, un sogno, magari un sacrificio capace di redenzione.
Ma non è certo l’idea di dirigere una biografia a sensazione che ha interessato Clint Eastwood.
Piuttosto il ritratto, attraverso uno dei suoi protagonisti più controversi, di una politica e di un’idea di democrazia.
La cupezza, la lividità di cui si diceva prima si riferiscono proprio all’amarezza di un americano che, arrivato a ottant’anni, guarda senza più illusioni a un mondo in cui nonostante tutto continuava a credere.
L’idea di un mondo migliore, o almeno di uomini migliori, era quella che fino a ieri guidava le azioni dei suoi eroi solitari, depositari di un qualche tipo di responsabilità.
Come quella che i padri sentono di dover avere per i figli, veri o «adottati» che siano.
Ma con J. Edgar anche quei sogni scompaiono e lo spettatore/regista non può che trovarsi solo e senza domani in un mondo cupo e buio.
"Come quello in cui Hoover muoveva le sue spie" (Mereghetti)
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