di Massimo Bambara
Adriano Galliani si è scusato. L'ha fatto a titolo personale verso Andrea Agnelli. Toni esagerati si dirà. Forse si, ma cospargersi il capo di cenere verso la Juventus non mi sembra un grande idea. Fermo restando il rispetto dell'autonomia privata.
Il problema vero però non sono le scuse, i toni alti, le parolacce, le urla dei tifosi feriti.
Il problema vero è il filo rosso, visibile e datato, che lega il gol di Turone a quello di Muntari. Passando per uno scudetto indegnamente ladrato dalla Juventus alla Fiorentina nell'82, vinto con un rigore pittoresco di Bady e con un gol inspiegabilmente annullato ai viola, a Cagliari, nell'ultima giornata. Passa per quel rigore di Iuliano su Ronaldo che, nel 98, poteva indirizzare lo scudetto all'Inter, passa per l'arbitraggio di Bertini in Juve Milan del dicembre 2004, passa per i gol fantasma non visti di Pellissier, Bierhoff e Bianconi.
La storia del calcio italiano è questa ed ha sempre avuto nella Juve il suo epicentro di potere, fastidioso, peloso, torbido, malato, indecente.
Questa è la Juve. L'operazione andata in onda nelle sale cinematografiche di Torino e propagata in tutta Italia ha diffuso l'idea che la Juventus si sia ripulita con l'abbandono di Moggi.
Dimenticando forse, che Moggi è stato solo un dirigente, un esecutore, un uomo della famiglia Agnelli al servizio della Juventus.
Le porcate, gli errori figli della sudditanza sabauda, c'erano prima di Moggi, ci sono stati con Moggi e ci sono tuttora dopo Moggi.
Non era Moggi e le sue pittoresche telefonate ad indirizzare il campionato, erano piuttosto i timbri della storia nonchè le marche da bollo di una società e di una famiglia che, in Italia, ha sempre fatto del potere il suo humus vitale.
Altro che intercettazioni. Basterebbe semplicemente guardare con occhio attento ciò che accade sul campo. Per non vedere il gol di Muntari ci vuole tanta malafede o tanta cecità. E, per quel che risulta, Romagnoli non ha mai avuto il cane accompagnatore |
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